Forze vere, non di complemento

Quanto è difficile trovare il significato della parola cultura! Se proprio siamo disperati possiamo trovarla sulla Treccani.

Ancora più difficile è dare un significato alla locuzione cultura della cybersicurezza. Ci ha provato l’ENISA nelle prime pagine della corposa monografia dedicata allo sviluppo della cultura della cybersicurezza (CSC) nelle organizzazioni. Nonostante l’impegno, la definizione è articolata: “la CSC nelle organizzazioni comprende la conoscenza, le opinioni, le percezioni, le attitudini, le assunzioni, le regole ed i valori delle persone nei confronti della sicurezza informatica e come si manifestano nel comportamento quotidiano”.

Appare naturale che tutto questo preluda ad uno sforzo complesso che deve essere condotto e sostenuto nel tempo da un team articolato e dalle competenze complementari. Come suggerisce la stessa ENISA, devono sedersi periodicamente allo stesso tavolo gli esperti ICT, gli esperti di sicurezza, i legali, i responsabili del personale ed i comunicatori aziendali. Ed il team deve essere guidato da un dirigente di vertice che possa garantire, agli occhi delle persone, l’impegno convinto dell’intero management.

Quindi, un progetto di diffusione della cultura della cybersicurezza, tanto in azienda quanto nella società, richiede la discesa in campo di forze complementari e non di forze di complemento.

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La prova sul campo

Quando ci siamo occupati di braccialetto elettronico, il noto brevetto annunciato da Amazon, sapevamo che saremmo tornati sull’argomento.

Infatti, pochi giorni fa l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP) ha presentato alla stampa i risultati di un’indagine tesa a capire quali fossero le opinioni dei suoi associati sull’introduzione di questa tecnologia nelle aziende italiane.

Tre direttori del personale su quattro ritengono che l’introduzione del braccialetto possa essere d’aiuto per rendere più efficiente il lavoro in azienda. D’altra parte, il 60% di loro pensa che le attuali tutele normative debbano essere rafforzate per evitare che ci siano abusi in danno dei lavoratori.

In realtà, più della metà degli intervistati (esattamente il 56,88%) ritiene che il braccialetto non sia uno strumento intrinsecamente rischioso ma che dipende da come i dati che raccoglie sono trattati dal datore di lavoro. La conseguenza è che il 65% del campione ritiene che l’introduzione di una tale tecnologia possa portare con se più problemi che vantaggi all’azienda.

Quest’ultimo dato riflette la necessità di adeguamenti tecnologici ma anche organizzativi per tutelare i diritti e le libertà dei dipendenti. E, quando si parla di adeguamenti, si prospettano investimenti che, oggi, potrebbero risultare onerosi per molte aziende.

Il braccialetto c’è e gli esperti si sono espressi. Resta solo la prova sul campo che, si spera, sia proficua per aziende e lavoratori.

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