Cloud significa “nuvola” ma, nel gergo tecnologico, ha assunto il significato di luogo, indefinito nello spazio terrestre, dove è possibile memorizzare ed elaborare dati. Le questioni indefinite non sono pane che gli americani digeriscono volentieri.
Dunque, qualche giorno fa hanno approvato un testo normativo denominato CLOUD (Clarifying Lawful Overseas Use of Data) Act che disciplina meglio la possibilità di accesso ai dati da parte delle autorità investigative statunitensi.
La questione parte da lontano. Nel 2013 le autorità investigative americane chiesero a Microsoft di consegnare una serie di email di un soggetto indagato. Microsoft si rifiutò dicendo che queste email erano conservate in un server irlandese e che la legge in vigore prevedeva l’obbligo di consegnare solo le informazioni presenti in dispositivi localizzati nel territorio statunitense. La questione si trascina ancora oggi nei tribunali: in particolare, deve decidersi nei prossimi mesi davanti alla Suprema Corte.
Tuttavia, si sa, gli americani non vanno tanto per il sottile e hanno varato la legge che dice testualmente così: “Un fornitore di servizi di comunicazione o di elaborazione dati è obbligato a conservare e consegnare i contenuti di comunicazioni elettroniche e di qualsiasi altra informazione riguardanti il cliente o l’utente che siano in suo possesso, custodia o controllo prescindendo dalla localizzazione delle predette informazioni, dentro o fuori gli Stati Uniti”. Questo vuol dire che le autorità statunitensi potranno chiedere ed ottenere i nostri dati da qualsiasi operatore americano, anche se sono memorizzati in un server operante in un altro posto del mondo.
Una nuvola minacciosa sulla nostra privacy, visto che gli OTT sono, quasi tutti, a stelle e strisce.