La più importante blogger italiana ha rilasciato, qualche giorno fa, un’intervista all’inserto “Liberi tutti” del Corriere della Sera. Occupandomi di privacy mi ha subito incuriosito il titolo “Vi spiego perché condivido sui social anche mio figlio” ma, poi, leggendo l’intervista, sono rimasto abbastanza deluso.
Mi aspettavo una lunga ed articolata serie di argomentazioni che spaziassero dalla sociologia al diritto, dalla psicologia al senso profondo della genitorialità. Purtroppo, nulla di tutto questo. L’intervista si sostanzia in un’ampia focalizzazione sull’intervistata, sulle ragioni delle sue scelte, sugli istanti pre e post parto. Nulla che desse l’impressione di un’analisi profonda sulle ragioni che possono indurre a pubblicare decine di immagini e di video di un figlio. Solo verso la fine dell’intervista c’è una frase che, in qualche modo, spiega le motivazioni della scelta: “Per me, che ho sempre condiviso tutto, sarebbe stato impensabile non farlo con Leone, la persona che più dà gioia alla mia vita”. Troppo poco…
Quest’unica frase, però, mi ha fatto capire molto, non da esperto di genitorialità ma da professionista della protezione dei dati personali. Tante norme si sono succedute e si succederanno, come frutto delle evoluzioni sociali e giurisprudenziali: dalla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo fino al GDPR. Oggi il focus è sulla responsabilizzazione (accountability): chiunque tratta dati personali deve fare un percorso di bilanciamento dei propri interessi con la garanzia dei diritti e delle libertà delle persone.
Ecco, il mio appello ai genitori è proprio questo: anche se non siete obbligati dalle norme, intraprendete questo percorso pensando al futuro dei vostri piccoli. Perché “un genitore saggio lascia che i figli commettano errori” (Mahatma Gandhi) ma un figlio, se non può ancora parlare, non può impedire ad un genitore di commettere errori.