La memoria sulle nuvole

Il dibattito che recentemente scorre sui giornali, cartacei e online, riguarda “il posto dei ricordi”. Molti studiosi si stanno chiedendo: in quali posti conserviamo i nostri ricordi? E l’evoluzione tecnologica ha cambiato il modo di conservare i nostri documenti, le nostre foto, i nostri video?

Sono domande che rievocano due concetti chiave della conservazione documentale che tutte le organizzazioni dovrebbero osservare e che, come privati, riusciamo difficilmente a concepire: disponibilità e reperibilità. La prima è la caratteristica per la quale un dato deve essere conservato in un luogo accessibile. La seconda attiene, invece, alla possibilità di riuscire a trovare, nell’insieme dei dati disponibili, quello che ci serve. In pratica, per trovare un dato (foto, video, ecc.) dobbiamo:

  • sapere dove è conservato;
  • avere accesso a quel luogo;
  • saperci districare tra tutti i dati presenti in quel luogo.

Una volta avevamo l’album fotografico ed alcuni portafoto sparsi nella casa: i ricordi erano bene in vista e, comunque, sapevamo dove trovarli. Oggi non è più così: produciamo decine di dati al giorno ma, spesso, dopo qualche giorno non ci ricordiamo esattamente dove siano (sul telefonino, sul cloud, sulla chiavetta, ecc.) e non riusciamo a trovarli. È come se fossimo in una casa pronta per il trasloco, piena di scatoloni: sappiamo che i nostri oggetti sono lì dentro ma non sappiamo esattamente dove.

E questo deve farci riflettere sul significato di protezione dei dati personali come possibilità da parte di noi tutti di avere il controllo dei dati che conferiamo ad altri. E’ paradossale che gli altri siano obbligati, dal GDPR, ad assicurarci quello che noi stessi non siamo in grado di garantire perché tolleriamo che la nostra memoria sia sulle nuvole.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.