Gli incidenti stradali sono in diminuzione ma crescono i morti sulla strada. Il 2017 ha fatto segnare una diminuzione degli incidenti del 3,3% rispetto al 2016 ma un aumento delle persone decedute dell’1,5%.
Questi dati raccontano di una piaga che, spesso, è dovuta alla distrazione di chi guida, oggi amplificata dall’uso di smartphone, tablet e telecomandi vari.
È per questo che qualche ufficio giudiziario ha prodotto apposite direttive finalizzate al sequestro degli apparati presenti nell’abitacolo al momento dell’incidente. La polizia giudiziaria dovrà verificare se il guidatore poteva essersi distratto a ridosso del disastro, con una telefonata oppure lasciando commenti su un social network.
Non abbiamo letto le direttive perché costituiscono documenti ad uso interno. Tuttavia, ci sembra che bastasse applicare la legge senza, peraltro, enfatizzare troppo la potenza informativa di un tablet rispetto agli incidenti.
Infatti, l’articolo 354 del codice di procedura penale prevede, già dal 2008, la possibilità, per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, di sequestrare apparati informatici, con l’assistenza di un legale e con la successiva convalida del pubblico ministero (articoli 356 e 355 c.p.p.). La polizia giudiziaria, quindi, può già utilizzare questo mezzo di indagine ma si suppone che valuti con attenzione l’utilità del sequestro.
Infatti, in caso di incidenti stradali, non è facile determinare con esattezza l’attimo in cui è avvenuto e, quindi, confrontarlo con il momento (questo certamente esatto) di un messaggio Whatsapp o Facebook. Uno scarto di soli 10 secondi può far venire meno il nesso di causalità tra distrazione eventuale ed incidente stradale e, quindi, neutralizzare il mezzo di prova.
Che tempo che fa? Nessuno lo sa con esattezza, almeno per gli incidenti stradali. E questo dovrebbe indurre alla prudenza nell’invadere la privacy senza effettiva necessità.