Proprio in questi giorni, 58 anni fa, Mina faceva cantare tutta Italia così “Una zebra a pois, beh, che c’è? A pois, a pois, a pois”.
Un inno all’inverosimile, una fake news ante litteram. L’evidenza della falsità della notizia era già in quel “beh, che c’è?” che dichiarava la stranezza della vicenda oltre che l’innocenza della sua divulgazione canora.
Oggi alle fake news non corrisponde lo stesso senso di vergogna: più sono pericolose e più diventano virali. Abbiamo già parlato degli strumenti che i social network stanno mettendo in campo per combatterle. E proprio pochi giorni fa è partito, in Italia, India, Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna, il nuovo sistema ideato da Facebook per scoprire le notizie false e far risaltare, viceversa, l’affidabilità dei siti.
In ogni paese interessato, un campione di utenti viene sistematicamente sottoposto ad una valutazione delle notizie e dei siti che le divulgano tramite due domande: “Conosci questa fonte?” e “Quanto la ritieni affidabile?”.
È un sistema che, però, sembra mordersi la coda. Per due motivi:
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non è nota la modalità con la quale sono stati selezionati gli utenti che fanno parte del campione;
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i soggetti selezionati potrebbero essere indotti a comportamenti non trasparenti dai siti “in valutazione” e dallo stesso social network.
D’altra parte, Facebook non ha fornito i risultati che ha prodotto questo strumento durante la sua sperimentazione, avvenuta a inizio anno, negli Stati Uniti.
Io, che per anni ho creduto alla zebra a pois, vorrei strumenti più solidi per evitare di essere ingannato.