La privacy nella gig economy

La sentenza Foodora ha ormai qualche mese ed è stata esaminata da molti giuristi per le considerazioni regolatorie della gig economy. In questi giorni, peraltro, è stato definitivamente approvato il cosiddetto decreto dignità che, nelle primissime intenzioni (non concretizzate), voleva disciplinare meglio anche questa materia.

La sentenza, tuttavia, risponde, tra le altre, anche ad una causa petendi che pochi hanno commentato. I ricorrenti, infatti, chiedevano al giudice del lavoro un risarcimento per la violazione, da parte dell’azienda, dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e degli articoli 7, 11 e 171 del Codice della Privacy italiano. I riders, infatti, contestavano un controllo a distanza (tramite lo smartphone) utilizzato senza un accordo sindacale ed un illecito trattamento dei dati personali che riguardavano i loro spostamenti.

Il giudice ha respinto tale richiesta ricordando che:

  • il comma 2 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori consente l’utilizzo di sistemi di controllo a distanza, senza il preventivo accordo sindacale, quando sono strettamente funzionali a rendere la prestazione lavorativa; nel caso specifico, non c’è dubbio che lo smartphone fosse parte integrante ed essenziale della prestazione lavorativa;

  • l’informativa sulle finalità e le modalità di trattamento dei dati personali era stata integralmente fornita a margine del contratto e i riders avevano prestato il loro esplicito consenso al trattamento effettuato dall’azienda.

La privacy nella gig economy: un mondo ancora tutto da scoprire.

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