Confesso di non essere un esperto della materia. E confesso che, seppur non molto in là con gli anni, provo un po’ di imbarazzo nell’affrontare la questione. Tuttavia, lo spunto è venuto dalla lettura di un inserto speciale che un importante quotidiano italiano ha dedicato al fenomeno del sexting, definito come la fusione di “sex” e “texting”. Ovvero, l’abitudine diffusa di esaltare le emozioni sessuali attraverso testi ed immagini pubblicati in Rete.
Trascurando gli aspetti psicologici e patologici, molto ben affrontati dal quotidiano, ho cominciato a cercare statistiche ufficiali sul mondo erotico, più o meno spinto, che agisce sulla Rete. L’ho fatto perché il GDPR fa rientrare nella particolari categorie di dati personali (quindi con maggior tutela) quelli riguardanti gli orientamenti sessuali e le abitudini sessuali; l’idea era quella di comprendere, con l’aiuto dei numeri, quanto le persone siano esposte a trattamenti che, più di altri, possono condurre a lesioni dei diritti e delle libertà. D’altra parte, ha fatto notizia, qualche giorno fa, l’indagine della Polizia Postale su ipotesi ricattatorie in danno di soggetti che erano stati ripresi, attraverso le fotocamere dei loro stessi dispositivi, mentre erano intenti a guardare e condividere immagini erotiche.
Tuttavia, ho trovato molto poco e, soprattutto, non ci sono studi accademici seri e recenti. Esistono solo statistiche provenienti dagli stessi siti che offrono prodotti a sfondo erotico e, quindi, altamente autoreferenziali e inaffidabili. Non posso e non voglio credere, infatti, al proclama di uno di questi siti, riportato dall’Huffington Post, che ritiene che i siti pornografici, mediamente, siano più visitati di Netflix, Amazon e Twitter messi insieme.
Se così fosse, altro che “Attenti ai social!” Piuttosto, “Attenti alle tracce che lasciate nei posti sbagliati!”