Un’onda sul web

Mentre ci affanniamo a cercare meccanismi di riduzione del rischi riferiti al trattamento di dati personali, spinti soprattutto dall’onda del GDPR, alcuni studiosi americani hanno approfondito quali potranno essere i rischi connessi all’infrastruttura Internet provenienti dall’onda vera: quella degli oceani.

La loro ricerca parte da due data set geolocalizzati (cioè da informazioni complete di coordinate spaziali):
• il data set delle previsioni di erosione del suolo da parte degli oceani messo a disposizione dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA);
• il data set della distribuzione delle infrastrutture fisiche a supporto di Internet (punti di accesso, punti di interscambio, cavi ottici, ecc.) messo a disposizione da Internet Atlas.

Hanno preso in considerazione, per i soli Stati Uniti, la proiezione di avanzamento dei mari fra 15 anni ed hanno evidenziato le zone del suolo (attualmente asciutte) che saranno ricoperte di acqua fino ad un piede (poco più di 30 centimetri). Si è scoperto che sarebbero costantemente sotto l’acqua (il condizionale è d’obbligo) circa:
• 1.200 miglia (quasi 2.000 km) di fibra ottica a lungo raggio (quelle più critiche perché collegano punti lontani);
• 2.400 miglia (poco meno di 4.000 km) di fibra ottica a corto raggio;
• 1.100 nodi di accesso o di scambio, cioè apparati che ricevono e smistano il traffico degli utenti.

I ricercatori mettono in evidenza il fatto che la maggior parte di queste infrastrutture non sono impermeabili e che non c’è abbastanza tempo per sostituirle o riposizionarle. Nella loro proposta di piano per la mitigazione di questo rischio, infatti, suggeriscono di duplicare nodi e cavi di connessione collocandoli in zone meno soggette all’avanzamento dei mari affinché possano entrare in funzione al momento del probabile malfunzionamento degli attuali.

Un’onda aggredirà il web che non è ancora pronto ad essere bagnato.

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