Il caro estinto è vivo

Il Considerando n. 27 del GDPR dice che “Il presente regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute. Gli Stati membri possono prevedere norme riguardanti il trattamento dei dati personali delle persone decedute.”

Quindi, i dati personali delle persone decedute non sono oggetto di tutela da parte del Regolamento. Questo, probabilmente, perché non ha molto senso difendere diritti e libertà di chi non può più esercitarli e goderle. Naturalmente, ogni Stato membro può, con una propria norma, disciplinare il trattamento dei dati personali dei morti. Per il momento, l’unica norma esplicita italiana è contenuta nell’art. 9 del Codice della privacy (in attesa dell’adeguamento ad GDPR) che individua i soggetti che possono esercitare i diritti (accesso, cancellazione, ecc.) sui dati personali del de cuius (tipicamente gli eredi).

Ma perché ci occupiamo di questo argomento? Perché fra pochi giorni arriva nelle librerie un saggio di Davide Sisto, filosofo e tanatologo, dal titolo “La morte si fa social” che approfondisce il prolungamento della vita dopo la morte attraverso le tracce digitali lasciate dal caro estinto.

I dati personali che ognuno di noi lascia nella rete, durante la sua vita, consentono, potenzialmente, di creare un fantasma digitale che può continuare ad interagire con il mondo reale. Si chiamano griefbot e, in qualche caso, sono già operativi e continuano a chattare con parenti ed amici grazie ad una rielaborazione delle innumerevoli tracce digitali (testi, video, audio) lasciate dai soggetti quando erano ancora in vita.

D’altra parte, senza arrivare a queste magìe, non ancora molto diffuse, Facebook mette a disposizione dei suoi utenti la possibilità di nominare un “erede” della propria pagina o di realizzare una pagina, dedicata al defunto, che amici e parenti possono visitare per rivivere alcuni momenti passati.

Sisto, partendo dalle classiche strategie psicologiche di elaborazione del lutto (sguardo saltuario al passato ma decisamente puntato verso il futuro), esamina i risvolti sociali di questa tendenza. Certamente, una visita alla vita digitale del defunto può essere molto più ricca e significativa di una meditazione su una tomba ma ci trattiene molto di più sul passato rischiando di farci impantanare nel cammino verso il futuro da avviare senza la persona cara.

Quindi, non illudiamoci che il caro estinto sia vivo ma proviamo a pensare che una parte di lui è dentro di noi e ci incita ad andare avanti.

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