Occupational & Environmental Medicine è una rivista specializzata nello studio della fisiologia e della patologia negli ambienti di lavoro.
Qualche giorno fa ha pubblicato una ricerca che fa un po’ di chiarezza scientifica sulle opinioni contrastanti che si sono diffuse negli ultimi anni tra psicologi del lavoro, sindacalisti e manager.
Si sa, gli open space riducono gli spazi di riservatezza dei dipendenti. I detrattori dicono che questo, a lungo andare, aumenta lo stress e fa calare le prestazioni dei dipendenti. Gli entusiasti degli open space, invece, ritengono che questo tipo di progettazione aumenta la possibilità di contatto diretto tra i dipendenti e, quindi, agevola la loro comunicazione rendendo più immediato lo scambio di informazioni a beneficio della produttività aziendale oltre che della loro integrità psichica.
I ricercatori di OEM, invece, hanno cercato prove scientifiche dei benefici facendo indossare dispositivi portatili di misurazione (wearable device) dei valori di base della salute (frequenza cardiaca, metri percorsi, pressione arteriosa, ecc.) a due gruppi di dipendenti distinti: quelli che lavorano in open space e quelli che lavorano in uffici chiusi (in quattro diverse realtà lavorative).
Hanno verificato, quindi, che i lavoratori negli open space hanno un’attività fisica più intensa rispetto agli altri e hanno meno sintomi da stress fuori dall’ambiente di lavoro.
Adesso sappiamo che un po’ di “privacy in meno” val bene un cuore più sano ed una mente più libera.