A chi raccontiamo tutta la verità? Chi è il nostro vero confidente? Seth Stephens‑Davidowitz, per rispondere a queste domande, nel suo recente libro La macchina della verità, parte da un dato di fatto: gli uomini mentono. Hanno sempre mentito. Ma, oggi, di più. Mentono ad amici, parenti, medici. Mentono persino a se stessi. Mentono nelle relazioni dal vivo, nei sondaggi, ma, soprattutto, sui social network. L’uomo raramente vuole apparire quello che è veramente.
L’unico vero confidente è il suo smartphone con le ricerche che effettua, gli acquisti che realizza, la musica che ascolta, i video che guarda. Quando è lì davanti si sente libero di essere se stesso. Ed è per questo motivo che Stephens‑Davidowitz ritiene che la verità sia solo su Internet: non certo nei sondaggi che, ormai, con costante disappunto dei giornalisti maratoneti amanti delle notti elettorali, continuano a fallire.
Questo non vuol dire affatto che Internet contenga la verità. Cioè non vuol dire che per saperne di biologia basta leggere un paio di pagine in Rete. Stephens‑Davidowitz si riferisce al fatto che la nostra profonda intimità (gusti letterari, preferenze musicali, sogni proibiti) è leggibile solo attraverso i nostri click, le nostre ricerche, le nostre navigazioni.
Naturalmente, tutto questo insieme di informazioni costituisce un immenso tesoro che, da qualche parte, qualcuno sta già utilizzando. Il dubbio (o la certezza) è: che sia un confidente interessato?