I vecchi TIC

È stato pubblicato di recente, a cura della Commissione UE, l’Indice dell’Economia e della Società Digitali (il DESI – Digital Economy and Society Index). L’indice, a dispetto del suo intrinseco valore sintetico, in realtà si porta dietro un rapporto completo sullo stato del digitale nei paesi dell’Unione Europea.

Lo sguardo all’Italia non è incoraggiante e, di fatto, conferma le sensazioni che provo ogni giorno nei contatti professionali con i clienti. Mancano i TIC o, meglio, gli specialisti TIC cioè i professionisti delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.

A guardare il DESI italiano, infatti, solo il 2,6% della popolazione lavorativa è uno specialista TIC. E, questo, pesa: nel rendere concorrenziali le aziende italiane, nell’apertura a nuovi mercati e, nel mio caso, nell’applicazione di misure di tutela dei dati personali.

Mi capita, infatti, di fare delle domande a chi supporta i miei clienti nelle TIC. Di solito ricevo risposte non pertinenti, evasive, scollegate dal cuore dei problemi. E quando fornisco indicazioni per l’applicazione di misure tecniche, la qualità dell’implementazione è, spesso, insufficiente.

Capisco che la protezione dei dati personali ha ricevuto nuova vita dal GDPR. Ma molti principi sono validi da più di dieci anni. Capisco anche che i professionisti capaci sono pochi. Ma, allora, non indugiamo nei vecchi TIC: quelli del solito approccio italiano di affidarsi all’amico del cognato.

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