
I cinesi sono tanti, ma proprio tanti. E possono permettersi di sfidarci in tanti campi: dal cibo alla moda, dalle biciclette alla ferramenta. Ma la vera battaglia è sulla tecnologia e sulla capacità pervasiva che le aziende cinesi hanno nei mercati occidentali.
L’attualità ha portato alla nostra attenzione il caso Huawei-Zte che ha mirabilmente sintetizzato Milena Gabanelli nel suo recente dataroom.
Huawei è nota per i telefonini che sono solo gli apparati terminali del nostro sistema di comunicazione: quelli in uso agli utenti. In Italia, gli smartphone Huawei sono un terzo di tutti i telefonini in circolazione. Tuttavia, molti non sanno che la vera forza della superpotenza tecnologica cinese risiede nella diffusione degli apparati comunicativi intermedi cioè in quella strumentazione attraverso la quale transitano i megaflussi di dati, nazionali ed internazionali. In questo settore, Huawei, offrendo prezzi più bassi. ha surclassato le tradizionali aziende produttrici come Cisco, Nokia, Ericsson.
Peraltro, la ricerca cinese ha fatto passi da gigante nell’ambito della nuova rete ad alta velocità, la cosiddetta 5G, che collegherà le persone ma, soprattutto, gli oggetti che ci circondano. Molti paesi hanno sospeso le forniture Hauwei in questo settore perché temono che, al di là delle rassicurazioni fornite dall’azienda, il governo cinese possa avvicinare un qualsiasi ingegnere che opera su questi apparati per convincerlo a creare un buco nella rete dal quale attingere informazioni che possono mettere a repentaglio la sicurezza nazionale oltre che la riservatezza delle persone. L’Italia, invece, continua ad affidarsi al fornitore cinese e, quindi, non ritiene che il pericolo giallo sia dietro l’angolo. Forse ha ragione. O forse no.