V di vendetta

La senatrice Evangelista, insieme ad altri parlamentari, ha presentato, il 19 febbraio scorso, il disegno di legge numerato con il 1076 e denominato “Introduzione dell’articolo 612-ter del codice penale in materia di pubblicazione e diffusione di immagini o video privati sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate”.

Le fattispecie affrontate dal disegno di legge sono molto delicate e riguardano i fenomeni di pubblicazione o diffusione di foto e video a contenuto sessuale ma che, al momento della loro produzione, avevano solo scopi privati. L’intenzione è quella di punire con il carcere questi comportamenti che, oggi, costituiscono una pratica piuttosto diffusa soprattutto tra ex partner che vogliono vendicarsi.

Purtroppo, però, il testo proposto è parzialmente contraddittorio con la nota di presentazione del disegno di legge. Infatti, nelle prime righe di questa nota viene scritto che “può trattarsi di selfie scattati dalla stessa vittima e inviati all’ex partner e fatti girare non solo in rete, ma attraverso e‑mail e cellulare” mentre il secondo comma del primo articolo del disegno di legge recita “Ai fini di cui al presente articolo, per immagini o video privati sessualmente espliciti si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di soggetti consenzienti coinvolti in attività sessuali esplicite.” Quindi, secondo il testo normativo, i video e le foto devono contenere almeno due soggetti: sono esclusi i selfie!

Non solo. La norma parla di soggetti “consenzienti” che, da vocabolario Treccani, significa “che danno il proprio consenso”. È ovvio che il consenso riguarda l’atto sessuale e non riguarda la diffusione o la pubblicazione. Ma che bisogno c’è di inserire l’aggettivo “consenziente” dando la possibilità a qualche difensore di sfruttare questa ambiguità per farla fare franca al suo spregevole cliente?

V come vendetta ma anche V come vittima: se legge deve essere, che sia scritta bene…

Condividi

L’agenda trasparente

La trasparenza è una conquista delle moderne società democratiche. Purtroppo, nel nostro Paese, il percorso per renderla effettiva è sempre molto accidentato.

È emerso, infatti, che al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il precedente vice‑ministro pubblicasse, per trasparenza, l’agenda dei suoi incontri istituzionali con i cosiddetti stakeholder ovvero i soggetti interessati alle decisioni politico‑amministrative. Questa pratica non è stata seguita dal nuovo ministro che, per la verità, appartiene ad una forza politica che della trasparenza e dell’onestà ha fatto un cavallo di battaglia.

Nel nostro piccolo, possiamo solo ipotizzare che, evidentemente, il nuovo ministro ha ritenuto di agire con cautela anche rispetto alle garanzie previste dal GDPR.

Infatti, l’agenda dovrebbe contenere i dati personali dei soggetti che interloquiscono con i rappresentanti del Governo e la finalità del loro trattamento è quella di renderli pubblici. Per questo trattamento, come per ogni altro, è necessario individuare la base giuridica tra quelle presenti nell’art. 6 del GDPR. In mancanza di una legge specifica, l’unica base giuridica applicabile appare essere il consenso degli interessati che, come sappiamo, deve essere libero, specifico, informato e non equivocabile. Pertanto, l’iniziativa dell’agenda trasparente dovrebbe essere preceduta da:

  • un’informativa completa riferita al trattamento, con specifico riferimento all’intenzione di pubblicare i dati personali relativi all’incontro (luogo, ora, data, esito, ecc.);
  • l’acquisizione del consenso da parte dell’interessato.

Certamente, anche la trasparenza dell’agenda non può fondarsi su un’iniziativa estemporanea.

Condividi