Quinto Stato

48 volte la parola dato, 29 volte la parola diritto, 24 volte la parola libertà, 18 volte la parola protezione (alla quale si aggiunge la parola tutela ben 17 volte). Questi sono i risultati più evidenti delle parole che il Presidente del Garante per la Protezione dei Dati Personali, Antonello Soro, ha ripetuto più frequentemente nel suo discorso di presentazione della Relazione sull’attività 2018 dell’Autorità che presiede.


Tuttavia, l’espressione che più mi ha colpito è stata “sottoproletariato digitale”. Il Garante si è voluto soffermare sui fenomeni di adesione ai servizi offerti apparentemente “a prezzo zero” che, tuttavia, generano una “servitù volontaria” (sempre parole di Soro) a danno di persone che, inconsapevolmente, cedono il flusso dei propri dati personali e, quindi, una parte importante della loro vita. Soro ha sottolineato anche l’esistenza dei fenomeni di lucro su lucro da parte di soggetti (le nuove banche dei dati) che promettono alle persone di riottenere i dati personali ceduti alle varie piattaforme e di rivenderli facendo guadagnare loro moneta virtuale (beato chi ci crede…).
Si sta formando, quindi, un “Quinto Stato” che difficilmente riuscirà a liberarsi dalla propria servitù perché non saprà più individuare chi è il padrone e, di conseguenza, contro chi protestare.

È su questi problemi che deve fondarsi il vero senso del GDPR e dell’attività del Garante: guai a depotenziarne la portata.

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