La guida smart

Sophia in ‘t VELD è un membro olandese del Parlamento Europeo. Lo scorso 14 aprile ha inviato una lettera alla Commissione Europea nella quale poneva tre domande:

  • la Commissione concorda con il fatto che la raccolta e la condivisione di dati personali tra automobili intelligenti e produttori o altri intermediari, effettuata senza esplicito consenso, può condurre ad un rischio elevato per i cittadini?
  • la Commissione concorda con la necessità di un controllo più stringente sull’industria automobilistica con riguardo al rispetto del GDPR?
  • quali azioni la Commissione ha intenzione di porre in essere per affrontare la questione?

La Commissione Europea ha ritenuto di avvalersi dell’European Data Protection Board (EDPB – Comitato Europeo per la Protezione dei Dati Personali) che, nella decima riunione plenaria, tenutasi il 14 ed il 15 maggio scorsi, ha risposto alla deputata olandese.

In realtà, la risposta dell’EDPB è stata un po’ evasiva. Infatti, ha richiamato l’opinion n. 3/2017 del WP29 (il suo predecessore) che, tuttavia, riguardava la trasmissione di dati tra l’automobile e gli oggetti presenti sul percorso (semafori, altre automobili, ecc.). In ogni caso, l’EDPB, forse consapevole della vaghezza della risposta, ha promesso che questo sarà uno dei temi di cui si occuperà nel programma dei lavori 2019-2020.

La guida smart: una storia ancora da scrivere.

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Il buco della serratura

Una nuova sentenza della Corte di Cassazione sembra scuotere le certezze degli esperti (o presunti tali) di protezione di dati personali.

È una sentenza che riguarda la videosorveglianza e che, su tutti i siti, viene gridata come una sentenza che autorizza la libera installazione, da parte di privati, di sistemi per le riprese video anche su luoghi pubblici.

Il giudizio della Suprema Corte, in realtà, annulla una condanna penale comminata dalla Corte d’Appello dell’Aquila per il reato di violenza privata (art. 610 del Codice Penale) ad un uomo che aveva installato le sue videocamere puntate sull’ingresso della sua abitazione ma che potevano orientarsi automaticamente al passaggio delle persone. Questa sorveglianza aveva fatto decidere i suoi vicini per una denuncia alle forze dell’ordine giacché ritenevano di aver modificato le loro abitudini di vita costretti dall’azione violenta del sistema di riprese.

I Supremi Giudici, tuttavia, non hanno ritenuto che il comportamento, condannato nei primi due gradi di giudizio, integrasse il reato di violenza privata e che il sistema rispondesse alle garanzie previste dalle norme in materia di tutela dei dati personali.

Tuttavia, la sentenza non implica che tutti possono installare questo tipo di impianti. Leggendo lo storico provvedimento del Garante per la Protezione dei Dati Personali dell’8 aprile 2010, è facile comprendere alcuni elementi essenziali:

  • le riprese effettuate per scopi personali (come quello della causa descritta) non rientrano nella normativa privacy (anche nel GDPR); invece, un sistema di videosorveglianza di un supermercato deve rispondere ai classici principi di proporzionalità, minimizzazione, liceità, ecc. e, quindi, a tutto ciò che prevede il GDPR;
  • per il privato, invece, è molto importante installare l’impianto senza incorrere nella fattispecie prevista dall’art. 615‑bis del Codice Penale (Interferenze illecite nella vita privata) cioè puntando le videocamere verso luoghi che siano considerati privati da altri soggetti (abitazioni o loro pertinenze); diversamente, il buco della serratura potrebbe allargarsi senza controllo.
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