Il pettegolezzo digitale

Si stanno diffondendo in Italia, in maniera un po’ artigianale e disordinata, i gruppi di controllo del vicinato. L’associazione capofila è l’ACDV (Associazione Controllo del Vicinato) che, per la verità, appare un po’ vaga nella disciplina delle proprie attività ancorché aderente alla più strutturata EUNWA (European Neighbourhood Watch Association).

Lo scopo dei gruppi di controllo del vicinato è quello di fornire segnalazioni qualificate alle forze di polizia per il contrasto ai reati più comuni: furti, scippi, rapine, ecc. Il protocollo sembra essere quello che qualsiasi cittadino dovrebbe seguire: segnalare alle forze di polizia eventuali elementi di sospetto rispetto a fatti illeciti che stanno per compiersi.

Il problema nasce quando, dopo la segnalazione, questi gruppi di controllo del vicinato effettuano foto o video catturando, quindi, dati personali di altri soggetti e, magari, pubblicandoli su social network o siti web. Qual è la base giuridica di questo trattamento? Certamente la nascita di queste iniziative ha radici positive ma non possiamo escludere che lo spontaneismo possa sfociare in una potenziale lesione dei diritti e delle libertà di chi viene fotografato o ripreso mentre, per esempio, sta scavalcando il cancello della casa dell’amico che gli ha chiesto un favore o di una coppia che litiga animatamente per strada.

Quindi, sebbene ampiamente giustificata da motivi di interesse pubblico bisogna domandarsi: si tratta di un sistema pervasivo di videosorveglianza potenzialmente incontrollata o di un coinvolgimento attivo al miglioramento della convivenza? In questo momento, osservando la normativa vigente, si dovrebbe propendere per la prima opzione.

L’evoluzione tecnologica ed il fatto che tutti siamo dotati di un smartphone, con annessa videocamera, deve portare il legislatore a sciogliere questi dubbi. Perlomeno per evitare di alimentare il pettegolezzo digitale piuttosto che la sicurezza del quartiere.

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Senza fretta

Il GDPR costituisce la base normativa fondamentale di cui l’Unione Europea si è dotata per la protezione dei dati personali delle persone fisiche che risiedono nel Vecchio Continente.

Il legislatore si è reso conto che queste regole potevano essere insufficienti per coprire tutto il traffico dei dati personali all’interno degli apparati comunicativi elettronici. Occorrono, infatti, norme più stringenti per governare le modalità con le quali i fornitori di servizi di comunicazione trattano i dati che riguardano le chiamate telefoniche, la consultazione dei siti web, la posta elettronica e così via.

Attualmente, queste questioni sono regolate dalla direttiva europea 2002/58/EC che, in Italia, è stata recepita nell’ambito del Codice privacy. Tuttavia, già da ottobre del 2017 esiste una “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche” meglio conosciuto come regolamento e‑privacy.

Purtroppo, questa proposta è rimasta tale e il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati Personali (EDPB), nella sua ultima riunione plenaria, ha ritenuto utile sollecitare gli stati membri a completare l’iter di approvazione del regolamento e‑privacy. Tanto più il tema è di stretta attualità visti i progressi nella diffusione della rete 5G e la pervasività di player stranieri nella fornitura di apparati di comunicazione.

Senza fretta ma con tempestività…

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