Un posto sicuro

Un posto sicuro per liberarvi della suocera? Una capsula stagna in fondo al mare.

Un posto sicuro per i vostri dati personali? Una capsula stagna in fondo al mare.

È la sperimentazione che sta conducendo Microsoft con il progetto Natick. La società di Redmond, infatti, sta verificando la possibilità di posizionare quasi 900 dei suoi server negli abissi al largo delle Orcadi, all’interno di un cilindro impermeabile privo di ossigeno. Gli apparati informatici saranno alimentati da un cavo elettrico sottomarino collegato ad un sistema di produzione di energia a pale eoliche.

L’esperimento tende a coniugare tre obiettivi:

  • la riduzione della vulnerabilità rispetto ad intrusioni di malintenzionati nel data center; è difficile che i malintenzionati abbiano voglia di avventurarsi in fondo al mare per accedere al tubo di metallo;
  • il contenimento dell’energia da impiegare per il raffreddamento degli apparati elettronici; in fondo al mare è presente una condizione termica che manterrebbe naturalmente la temperatura giusta per il funzionamento dei server;
  • il rispetto dell’ambiente grazie all’alimentazione energetica da fonti no-fossil.

Esistono, tuttavia, alcuni elementi da verificare:

  • la sostanziale impossibilità di manutenere i server; la capsula, infatti, sarebbe inaccessibile ai tecnici;
  • il rischio che i campi elettromagnetici attirino pesci di grossa taglia (p.e. gli squali) che potrebbero danneggiare la capsula.

Beh… Se non funzionerà per i server, potrebbe funzionare per la suocera!

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Una banca tutta nuova

C’è una banca tutta nuova all’orizzonte: una banca di dati personali che promette guadagni facili senza molti sforzi. Si chiama Weople e nasce dall’idea di operare per conto di tutti noi esercitando i diritti previsti dal GDPR; in pratica, Weople vorrebbe recuperare i nostri dati personali da tutte le piattaforme alle quali li abbiamo ceduti gratuitamente (con un nostro precedente consenso) e, poi, lasciare a noi, sempre tramite Weople, la facoltà di rivenderli.

La questione non è così semplice.

Per cominciare, Weople cita il diritto alla portabilità (art. 20 del GDPR) come leva principale del proprio modus operandi. Questo, per fare l’esempio di un famoso social network, significa che si abbandona Facebook e che i dati transitano tutti su Weople: quanti utenti sono disposti a questa operazione? Cioè, quanti utenti sono disposti a stare anche un solo giorno senza Facebook? E, poi, siamo sicuri che Facebook o altre piattaforme sono disposte a riammetterci a fronte del pagamento di una somma?

Inoltre, c’è qualche dubbio sul fatto che possa esserci un intermediario (in questo caso Weople) tra noi (interessati) e la nostra piattaforma (titolare del trattamento). Il comma 6 dell’art. 12 del GDPR prevede che “[..] qualora il titolare del trattamento nutra ragionevoli dubbi circa l’identità della persona fisica che presenta la richiesta di cui agli articoli da 15 a 21, può richiedere ulteriori informazioni necessarie per confermare l’identità dell’interessato.” Questo significa che il titolare ha il diritto di verificare a che titolo e su quale base formale (delega, procura, ecc.) Weople chiede di ottenere i dati per nostro conto. Non basta che Weople dica che abbiamo creato un account con la sua app.

Infine, Weople, potenzialmente, potrebbe raccogliere milioni di dati personali, anche quelli riguardanti la salute, gli orientamenti sessuali, ecc. Quindi, il trattamento che effettua ricade nelle fattispecie per le quali è obbligatoria una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (DPIA). È stata fatta? Con quali esiti? Sul sito non ce n’è traccia.

Una banca tutta nuova attraverso la quale sarà difficile diventare Paperon de’ Paperoni (anche perché non pagano in dollari né in euro ma in Wecoin, una criptovaluta di nuovo conio).

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