In questi giorni ho avuto modo di recuperare la lettura, in arretrato di qualche mese, di alcune riviste del mio settore.
Mi ha particolarmente interessato ad un articolo apparso nel numero di Giugno di (IN)Secure Magazine.
Il nòcciolo del ragionamento riguardava gli sforzi, organizzativi ed economici, che le aziende stanno sviluppando per proteggere i loro dati secondo le previsioni del GDPR: e via alle pseudonimizzazioni massive dei database centralizzati o al rafforzamento dei sistemi di rilevamento delle intrusioni nella rete. Peccato che studi recenti hanno dimostrato che il 60% dei dati rilevanti per le aziende risiede sui personal computer dei dipendenti e che quasi il 70 delle perdite dei dati è dovuto a difetti dei cosiddetti endpoint cioè i predetti PC.
Deve cambiare l’approccio che le organizzazioni hanno sui dati personali che trattano. Ogni operatore/utente del sistema informativo aziendale deve essere consapevole di avere come dovere quello di proteggere un asset ma anche di difendere diritti e libertà dei soggetti interessati.
È una realtà che, in qualche modo, avevamo già delineato: ai confini dell’utente può cascare il GDPR.